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2 Aprile 2016 presentazione del libro
Dove si parla di Giovanna Santo Stefano e delle sue favole. Favole di animali, nuvole e piante...
presso la fioreria libreria Giardino Parioli di Roma
* GIULIANA BON, detta GIOVANNA SANTO STEFANO - FAVOLISTA (1914-2000) *

Ho conosciuto Giovanna Santo Stefano un pomeriggio di tanti, veramente tanti anni fa.
Sono in biblioteca per preparare un esame quando una esuberante signora mi chiede aiuto nella ricerca di una monografia su Pisanello. Sarebbe venuto fuori poi che stava cercando l'immagine di una quaglia - per l'appunto da La Madonna della Quaglia. Sarebbe venuto fuori poi, ancora, che cercava riferimenti visivi perché, come intanto mi va raccontando, scrive favole. E, forse in quello stesso frangente, mi spiega che per raccontare di questa quaglia, vorrebbe 'ritrovarla' nelle fattezze con cui, proprio come lei la va descrivendo, già fu 'ritratta' da qualche artista (Pisanello, nel caso presente). E così sarà per una lucertola e uno stambecco e via dicendo, come apprenderò in seguito, perché vorrebbe accompagnare la pubblicazione di ogni sua storia a illustrazioni d'arte.
Non c'è da essere boy-scout per aiutare chicchessia nella ricerca del Pisanello e poi di un altro libro e probabilmente di un altro ancora - e quel giorno forse non ho nemmeno voglia di studiare - pure vedo presto che il pomeriggio in biblioteca va piegando verso una lunga conversazione (per inciso, nelle sale di lettura, tali momenti sono accompagnati da inarcarsi di sopracciglia altrui e malcelati sbuffi, fino a ben evidenti "shhh! shhhhh!"). Se al principio però, mi ero sentito 'arpionato' da questa signora, nel procedere della conversazione - o monologo, perché bisognava conoscerla! - resto incantato: qualcuno che scrive favole me ne fa partecipe - e anche questo o quel tratto della sua vita, che qua e là emerge già in quel primo incontro, ha sapore di favola. 
Chiaro che la mia giornata di studio, sia come sia, è andata.
Usciamo infine e ci sono le presentazioni: mi dice infatti che, pur avendo parlato tanto a lungo, non ci siamo neanche presentati. Timido, ma educatamente, proferisco il mio nome dando la mano; "Guido! Guido! avrà pure un cognome, no! Io sono Giovanna Santo Stefano!" ribatte prontamente (leçon de style!). Prima di salutarci, comunque, ci scambiamo i numeri di telefono.
Ed ecco, seguono tante telefonate e incontri a casa sua - e i racconti pieni di enfasi, fatti con la sua voce tonitruante (così come un amico la definiva). In quei pomeriggi mi racconta di una Roma che non c'è più: non quella 'sparita' di Pinelli o Roësler Franz, ma una Roma che non c'è più perché, negli Anni Cinquanta e Sessanta, era ben più facile incontrare in giro personaggi di un certo spessore culturale - non come oggi, che li vedi solo attraverso il filtro della TV.
Così mi parla degli amici Elsa e Alberto, che la esortavano a scrivere perché c'erano idee originali nei suoi racconti - conservo una lettera di Moravia che la raccomandava caldamente a Mondadori. Mi parla di Giorgio, che va a trovare nel suo atelier e a cui, ogni tanto, dipinge qualche fondo di quadro: De Chirico non ne ha sempre voglia, mentre lei si incanta a dare pennellate di verde; come mi parla di De Pisis e Campigli, fra gli altri. Mi parla di 'Pierino' (Tosi) che le ha consigliato quel verde scuro e quel giallo intenso per infissi e mantovane della sua bella casa: un accostamento che la rende orgogliosa. E mi racconta di Luchino e Franco e Pierpaolo: e mi fa ridere che di Pasolini, che pure stima, non apprezzi quel penchant per ragazzi per lei più incolti che sempliciotti, per lui più angelici che caravaggeschi. E poi ci sono 'Giulietto', che è stato anche sindaco di Roma (parla di Argan!), e Palma (la Bucarelli!) che incedeva alle soirée avvolta da splendidi Balenciaga; e via e via e via. 
Ma sempre i suoi racconti hanno una quotidiana naturalezza: assente ogni arroganza, conoscendo questi personaggi, me ne parla. Come mi parla della Callas - da lei incontrata ad una soirée e che le ha confessato la propria solitudine - così mi racconta del gatto Bruschino che le graffia i dischi di musica classica, da lei tanto amata; mi racconta del suo diploma al Conservatorio di Venezia e della decisione di andare a Roma - meta raggiunta non senza sacrifici - e di quando, seppure assistente della violinista Gioconda De Vito, stabilì che non si possono passare intere giornate, strumento in mano, per diventare una virtuosa del violino. Ed eccola che si 'reinventa', presentandosi alle redazioni dei giornali - "...e il direttore mi ha chiesto un elzeviro su Venezia e me lo ha pubblicato subito!" E mi racconta della guerra e degli anni a seguire, quando ormai si dedica alla critica musicale, entra in contatto con la RAI e collabora a programmi di carattere culturale per studenti e operai, per giovani promesse della lirica (la Moffo, la Scotto, fra gli altri), come per giovani talenti di tutte le arti; di quando prepara un nuovo libretto per L'Impresario di Mozart, in sostituzione di quello di Stephanie il Giovane - molto apprezzato dagli addetti al settore, come testimonia più di una lettera inviatale. Fino a quando, stanca di tanti traffici, ma sempre piena di curiosità - "Finché c'è la fantasia c'è la vita" amava ripetere - si ritira a scrivere con grande impegno, con tenerezza e ironia, storie di animali.
Me ne fa leggere diverse. Dapprincipio resto stupito, forse anche perplesso: non magia e misteri, mai un "c'era una volta", né Cenerentole o Raperonzoli. Semplicemente, i fatui amoreggiamenti di un'allodola e un rondone, una quaglia - quella quaglia, appunto - che cerca la sua amata rosa o un'aquila nera che quasi adotta uno stambecco. Ma poi inizio a capire queste favole 'strane', non necessariamente moraleggianti, non per questo banali!
Giovanna Santo Stefano sognava di pubblicarle, ma per farlo voleva limarle e limarle - senza fare i conti col trascorrere del tempo. Pure lascia detto che avrebbe piacere vi provveda io, se impossibilitata a farlo lei - e sono onorato di tanta stima: anche se questo 'compito' non è facile.
Come procedere, infatti?
Varie volte mi aveva chiesto un parere: ricordo che cercava di mettere in ogni pagina, in ogni parola "leggerezza... come di un passaggio musicale che sfumi senza artificio..." - così diceva più o meno; se mi manca il lessico 'tecnico' per spiegarlo più correttamente, il concetto resta chiaro: cercava leggerezza!
Non so quando abbia iniziato a scriverle, ho una massa (più che una messe) di fogli sparsi e appunti e stesure di diversi racconti, copie su copie che sono un inno al caos. Il mio côté Vergine, così, ha dei soprassalti quando vede che di alcuni racconti, in un trascorrere di non pochi anni, ci sono fino a nove stesure. Stesure dove brani di copie in carta carbone sono incollati sulle stesure di prima mano e poi, insieme, sono ancora corretti a penna, e ancora insieme ricopiati e ricorretti a macchina e a penna, e sono tagliati e ritagliati fino a che non è più possibile riconoscere la versione originale né, men che meno, quella 'definitiva'. Un labirinto, purtroppo! Una quantità di fogli scritti a macchina e a mano, in originale e in copia che, nell'asettico sistema del 'taglia e incolla' - di cui al PC so anche essere grato - sono fisicamente dei 'taglia e incolla'!
Come procedere, dunque?
Fermo restando il rispetto delle tracce narrative (pochi i casi in cui ho verificato sensibili variazioni contenutistiche - quale un differente finale - che impongano delle scelte) mi sono limitato ad una pulitura 'soft', cercando di avvicinarmi a quell'idea di leggerezza che l'ha occupata fino all'ultimo: tra ripensamenti e rovelli su un andare a capo o meno, sull’individuazione quasi manualistica nel descrivere flora e fauna, sull'uso di virgolette o trattini nei discorsi (ricordo che ne avevamo parlato, e che mi aveva indicato come ne usassero diversi editori), sull'impiego di una maiuscola o di un corsivo e quant'altro.
Pur nel timore di inconsapevoli arbitrî - sempre volendo evitare di sovrappormi a quanto Giovanna Santo Stefano andava cercando con quell'inesausto labor limae - spero comunque di aver condotto il lavoro in maniera corretta.
Dove documentato, ho annotato qualche dedica offerta dall'autrice; come pure i riferimenti iconografici per le sue favole, per questo o quell'animale scelti a protagonisti. Ho anche cercato di datare i racconti: per annotazioni fatte dalla stessa, per deduzioni fatte attraverso date trovate sulla carta di riciclo (estratti conto, copie di un Bollettino RAI, volantini pubblicitari) su cui amava scrivere, e che possono offrire qualche ante quem non. Proponendo come un indice la divisione per 'raccolte' di mano dell'autrice (L'Aria della Sera, Due lune all'alba, La Quaglia e la Rosa - ognuna con la sua numerazione interna), devo precisare che ne risultano escluse alcune favole (di per sé complete e a cui si dovrà dare una collocazione separata) e ne sono incluse altre di cui non ho traccia e che forse testimoniano solo un progetto rimasto tale.
Riorganizzare tutto il materiale affidatomi: quanto lavoro!
Ma è tempo di fare quanto aveva chiesto - a dieci anni dalla sua scomparsa, almeno! Perché, se le ricorrenze con la loro 'numerologia' non ci obbligassero ad un termine, starei non so quanto ancora a cesellare il cesellato!
Grazie, allora, Signora Santo Stefano; grazie Giovanna.
Dai nostri incontri, dalle sue telefonate, dai suoi scritti ho imparato ad apprezzare certa ironia e levità; leggendo le sue favole ho imparato a conoscere il suo senso cromatico, quanto amasse i colori del cielo; quanto la incantasse la natura - e mi telefonò per indicarmi un magnifico leccio di Villa Borghese - e gli animali, primo fra tutti quel suo Bruschino. Ho imparato ad apprezzare il suo entusiasmo nel raccontarmi con esuberante crescendo di "... laaaaacrime e laaaaaaacrime!" che scorrevano copiose al culmine di una romanza d'opera; come di un vestito rosso fuoco di Versace per il quale, solo al vederlo in televisione, aveva sobbalzato sulla sedia - del resto anche a lei fu cara I died for beauty, di Emily Dickinson. Grazie, perché mi ha incantato raccontandomi non solo favole, ma tranche de vie. E ancora mi ha incantato nel dirmi di immaginare il passaggio all'aldilà come il movimento danzante di una piuma - senza traumi, un soffio di un angelo: non altrimenti!
E poi c'era il suo affetto burbero: "... noi del Nord non abbiamo bisogno di baciarci!"; ma come è stata premurosa nell'informarsi sempre su una persona a me cara e verso la quale, ormai solo sofferente, nutriva pena e grande rispetto.
Poi quella persona cara non c'è stata più - e in un breve momento, poco più di un anno, anche lei si è cimentata in quel passaggio: lasciandoci. E io mi chiedo se avesse ragione lei: è dunque non altrimenti che il soffio di un angelo?
Non so se iniziare a far conoscere le sue favole attraverso Internet sia una vera operazione editoriale - ma mi è caro pensare che accetterà, per ora almeno, questa parziale e poco ortodossa 'pubblicazione': perché vorrei che altri, oltre le poche persone che ancora l'hanno nel cuore, possano leggerle.

Con un abbraccio, Guido
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